Il consumatore? Veloce e infedele: ecco come sono cambiate le abitudini.

Iperinformato e scaltro, cerca di districarsi tra risparmi, offerte, e qualità. Per le aziende?  Un rompicapo, è imprendibile. La ricerca del Censis.

La grande distribuzione è viva e lotta ancora insieme a noi. Messo alla frusta dal ristagno dei consumi e dalle discontinuità culturali e tecnologiche del nostro tempo il supermercato, la cattedrale più frequentata della modernità, tiene comunque botta. A meno così la pensano i ricercatori del Censis che oggi presentano a Roma un’ampia indagine sullo «sviluppo italiano e il ruolo sociale della distribuzione moderna». La prima radicale novità con la quale fare i conti è il profondo cambiamento del consumatore diventato «infedele, iperinformato e persino scaltro». Solo il 27,3% dei maggiorenni («ifedelissimi») per la spesa alimentare si reca sempre presso lo stesso punto vendita, il 12,4% invece effettua gli acquisti cambiando negozio ma non catena ma il grosso, mentre la maggioranza — circa il 50% — è «nomade» e sceglie in base a promozioni, offerte e ed esigenze del momento. Il Censis li definisce «free rider» e per le aziende del settore rappresentano un autentico rompicapo. Anche perché il tasso di imprevedibilità del consumatore degli anni Dieci decolla quando dal cibo si passa all’abbigliamento, all’arredo o l’elettronica. Siamo in tutti e tre i casi oltre il 70% di nomadismo.

Guarda il grafico l’identikit del consumatore

Al di là delle etichette quali sono però i connotati di questo consumatore imprendibile? I ricercatori lo definiscono insicuro e disilluso, con prospettive di reddito ferme, «costretto alla scaltrezza per districarsi tra quota da destinare al risparmio e spesa per i consumi e nell’ambito di questi ultimi tra quella che reputa necessari, gli sfizi irrinunciabili e ciò che invece può tranquillamente tagliare». In questo peregrinare l’italiano medio non si fa guidare solo ed esclusivamente dalla ricerca del prezzo conveniente ma ama rivolgersi anche alle catene specializzate rispetto ai negozi generalisti. E si comporta anche in base a scelte etiche: per l’83,5% è importante che i prodotti che acquista riflettano le sue convinzioni sociali ed ecologiche. Non è un caso, del resto, che oltre 30 milioni di italiani abbiano preso l’abitudine di leggere i giudizi sui prodotti che circolano su social network e blog e oltre 6 milioni di loro non si limitano ad essere lettori compulsivi ma pubblicano regolarmente post su siti web con il racconto delle proprie esperienze commerciali condite da commenti personali. Per far fronte a questi mutamenti – che non paiono di breve periodo – è chiaro che la grande distribuzione ha più carte da giocare del piccolo commercio e infatti quest’ultimo negli anni dal 2007 al 2016 ha visto crollare le sue vendite del 13,5% in generale e del 14,7% nel solo segmento alimentare. Ma i punti di vendita fisici hanno un futuro o sono condannati a soccombere davanti all’innovazione dei canali di acquisto? Secondo il Censis ce la faranno se non altro perché il 33% dei clienti cerca «personale preparato e disponibile che aiuti a capire e scegliere velocemente» ma dovranno reinventare il proprio modello di business combinando «fisico e virtuale» ovvero facendo coesistere le punte più avanzate della società iperconnessa e le pratiche più tradizionali dello shopping. In questo modo i supermercati riusciranno a conservare il contatto anche con i millenials molto attenti sia alla pluralità delle fonti informative sia alle dinamiche soggettive.

La ricerca si conclude con una valutazione e un riconoscimento inusuali: la grande distribuzione è riuscita a mantenere all’interno della vasta platea dei consumatori anche persone con redditi bassi a rischio di esclusione sociale per la crisi e di conseguenza ha contribuito a tutelare il potere d’acquisto degli italiani. Secondo gli analisti guidati da Giuseppe De Rita i supermercati «sono tra gli ultimi luoghi democratici, interclassisti e inclusivi che fanno barriera all’ampliarsi delle distanze sociali, riducendo il rischio che diventino fratture».

I numeri che giustificano questo giudizio sono: il 25,9% degli italiani ha conservato il proprio tenore di vita grazie alle offerte e promozioni della grande distribuzione, il 54,5% ha attutito le difficoltà di reddito usufruendo delle favorevoli condizioni di vendita praticate e il 10,6% ha tagliato i proprio consumi meno di quanto avrebbe dovuto grazie proprio alle scelte «democratiche» dei supermercati. Sarebbe nato così (silenziosamente) in questi anni una sorta di nuovo ammortizzatore sociale che il Censis abilissimo nel creare neologismi chiama «welfare dei consumi».

di Dario Di Vico

(fonte: Corriere.it)